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Messiaen e la Poesia del Suono
Il “Quatuor pour la fin du temps” non è un epicedio per la Shoah, anche se la sua esecuzione è diventata frequente in occasione del Giorno della Memoria, ma la sua portata simbolica è innegabile e potente. Olivier Messiaen lo compose in condizioni terribili tra la fine del 1940 e l’inizio del 1941 nel campo di concentramento di Görlitz, dove si trovava rinchiuso come militare francese catturato in Francia dalle truppe naziste. Aveva 32 anni ma era già un musicista importante e conosciuto: i tedeschi gli permisero non solo di scrivere questo caposaldo della musica del Novecento, ma anche di farlo eseguire, sia pure in condizioni ovviamente e drammaticamente precarie. La scelta dello strumentale (pianoforte, violino, violoncello e clarinetto) fu condizionata dalle fortunose possibilità esecutive, ma paradossalmente questa situazione è stata il punto di partenza di un’invenzione sbalorditiva nella sua forza innovativa. Di lì a pochi mesi, Messiaen sarebbe stato rilasciato e l’anno seguente avrebbe iniziato la sua lunga esperienza di docente di composizione al Conservatorio di Parigi. Una missione fondamentale per i destini della musica del XX secolo, se è vero che fra i suoi numerosi allievi ci furono in epoche diverse figure fondamentali nella Seconda Avanguardia come Pierre Boulez, György Kurtág, Karl-Heinz Stockhausen, brevemente anche Iannis Xenakis.
Il “Quatuor” è in realtà allo stesso tempo una sorta di atto di fede (la fede cattolica dell’autore) e una riflessione in musica sulle terribili immagini del Libro decimo dell’Apocalisse di Giovanni. Questo, infatti, è il riferimento diretto alla “fine dei tempi”, e lo stesso autore lo esplicita nelle “spiegazioni” scritte a mo’ di introduzione di ciascuna delle otte parti in cui si articola la vasta composizione (circa 50 minuti). Da qui la forza visionaria di una partitura nella quale il tempo come tecnicamente s’intende in musica – metro, ritmo – diventa quasi una variabile esistenziale di quello descritto nel racconto della fine del mondo. Variabile comunque animata da una straordinaria, multiforme soggettività. Se si aggiunge l’altissima poesia del suono e delle sue metamorfosi lungo invenzioni nelle quali la melodia non è assente ma si trasforma in una sorta di flusso di coscienza del quale è elemento decisivo e sempre cangiante il colore, si ha il quadro di una composizione che è epocale non solo per le condizioni disumane in cui nacque (il cui influsso sulla partitura è peraltro mediato dalla forza del gesto creativo) ma per la capacità di porsi come un vero e proprio spartiacque nella musica del XX secolo.
Rispetto al “Quatuor” c’è un prima (modernismi di molteplici fogge, fra Debussy, Stravinskij, Ravel e neoclassicismi più o meno intelligenti) e un dopo. Lungo le otto parti variamente configurate dal punto di vista strumentale (non tutte e non sempre a organico pieno), l’eredità del primo Novecento è talvolta evidente (come nel centrale Intermède) e talvolta sapientemente elaborata anche con soluzioni armoniche liberissime.
Ma parimenti, gli scenari futuri della Nuova Musica sembrano spesso annunciati nell’attenzione per le pratiche musicali orientali, con le loro scale atipiche, nella riflessione sul valore del suono, nella capacità dell’invenzione di piegarsi a soluzioni espressive capaci di uscire dalla dimensione sonora in quanto tale, pur essendone motivate e rimanendo ad essa strettamente vincolate. Musica speculativa e allo stesso tempo musica “concreta” ante litteram, pur senza ancora nessun legame con la tecnologia. Ovvero, i nuovi orizzonti della musica “descrittiva”, che parte dal sé per arrivare alla riflessione sullo scenario ultimo, offrendo una soluzione, pur nel rigore della fede, grazie alla libertà del suono, al suo rispecchiarsi nella Natura, qui come spesso accadrà in Messiaen “messa in scena” grazie al canto degli uccelli.
Questo capolavoro del Novecento era il clou del concerto proposto dalla Società del Quartetto di Vicenza, appunto in occasione del Giorno della Memoria, protagonisti il Quartetto Klimt e il clarinettista Calogero Palermo.
In apertura, Duccio Ceranti (violino), Margherita Di Giovanni (viola), Jacopo Di Tonno (violoncello) e Matteo Fossi (pianoforte) hanno proposto due pagine fra loro idealmente collegate, i movimenti di Quartetto scritti da Mahler ragazzino (nel 1876, all’età di 16 anni) e oltre un secolo più tardi (nel 1988) da Alfred Šnitke, in ideale continuazione dell’acerba prova del compositore boemo. Esecuzioni dal suono corposo, ben articolate nel fraseggio e nelle dinamiche, che hanno fatto capire il contesto di alta qualità strumentale della serata.
Uscita la violista Di Giovanni ed entrato il clarinettista Palermo, Messiaen è stato infatti presentato con avvincente intensità: si è trattato di un’interpretazione nella quale la profondità del pensiero di Messiaen ha trovato il suono, il colore, il fraseggio di un discorso musicale interiorizzato ma proprio per questo meravigliosamente eloquente, in perfetto equilibrio fra virtuosismo e meditazione. Ciascuno dei quattro protagonisti di questa esecuzione esemplare è risultato decisivo, sia dal punto di vista delle sortite solistiche che per la forza degli insieme. Palermo, autentico fuoriclasse del suo strumento, ha disegnato la parte clarinettistica con poesia lancinante dentro a un’affascinante gamma di sfumature e con colori superbamente e sorprendentemente suggestivi; Di Tonno e Ceccanti hanno fatto del suono di violoncello e violino nelle due “Lodi” a Gesù (all’eternità e all’immortalità) un elemento di preghiera profonda e assolutizzante; Fossi alla tastiera ha retto le fila delle scansioni ritmiche multiformi con intuitiva ed esemplare introspezione timbrica.
Pubblico non così numeroso, nella sala del Ridotto del Teatro Comunale vicentino. Applausi convinti.
Piano e Violoncello nella creatività del romantico Johannes Brahms
Applausi alla Sala dei Teatini a Pulini e Di Tonno per il Festival Piacenza Classica.
C'è un fraseggio intimo che vola alto nel secondo movimento della Sonata n.1 in mi minore, op.38 di Johannes Brahms , un passaggio che sollecita l'ascoltatore aprendogli il cuore ad un ampio spettro di emozioni. Nella prima puntata del Festival Piacenza Classica, alla Sala dei Teatini, si è esibito un duo di alto profilo, formato dal violoncellista Jacopo Di Tonno e dalla pianista Bruna Pulini. I due musicisti di emozioni, a dire il vero, ne hanno scolpite più di una regalando squarci di pulizia sonora davvero invidiabili.
Nel nome di Brahms Di Tonno e Pulini, hanno tenuto a battesimo la rassegna nata nell'ambito del bando "Cultura 2022" del Comune e sostenuta dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano. L'iniziativa, alla prima edizione, ha preso forma anche grazie all'impegno dell'Associazione Pierluigi Bricchi per i Bambini (direzione artistica curata da Monica Righi, con il supporto di Ivan Maliboshka,pianista,ed Elisa Tait, oboista.
Si allarga il campo, il viaggio con Brahms accede ai binari della memoria. Gli strumenti non cercano di sovrastarli, nessuno rompe l'equilibrio, scorre poesia tra le note. Di Tonno racconta con il violoncello, nutrito con ampie soluzioni armoniche, una storia, una vita, le sue sfumature, mentre la Pulini ci spalanca un'ampia finestra sulla creatività del compositore tedesco giocando con diversi temi. Si parte con la Sonata n.1 in mi minore, op.38 (tre movimenti Allegro non troppo, Allegro quasi Menuetto,Allegro),composta tra il 1862 e completata nel 1865. Riflessione e sconforto, meditazione e romanticismo in costante rotazione durante il dialogo tra violoncello e pianoforte. Il passaggio successivo ha esaltato tutta la carezzevole tenerezza della Sonata n.2 op.99 in fa maggiore (quattro movimenti, Allegro vivace, Adagio affettuoso,Allegro passionato,Allegro molto),dedicata al violoncellista Robert Hausmann. Intense le linee melodiche e l'interazione tra gli strumenti. Gli applausi ripetuti della platea hanno convinto il duo di proporre un bis. La scelta è caduta su un lied di Brahms, il Feldein-samkeit op. 86. "Siamo veramente felici-ha sottolineato Andrea Bricchi,presidente di Piacenza Classica-per il buon esito del primo appuntamento. Mi auguro che il pubblico continui a seguirci a cominciare dal l'appuntamento di domani sera in Cappella Ducale. L'entusiasmo dei tre ragazzi che coordinano artisticamente il percorso è energia pura"."Per noi un'emozione unica - hanno aggiunto Monica Righi e Ivan Maliboshka-,dobbiamo ancora realizzare che stiamo creando qualcosa per la città, qualcosa che ci fa sentire speciali e ci permette di tornare a proporre musica. Ringrazio - conclude Righi-il mio maestro Jacopo Di Tonno per l'idea originaria della rassegna e la direttrice del Conservatorio Maria Grazia Petrali che ha assistito al debutto della rassegna e ci sostiene con le sue parole". Matteo Prati
“Abbiamo trasformato un momento difficile in un’opportunità”
È un fiume in piena, il maestro JacopoDiTonno.Sarà che nel presentare la nuova rassegna virtuale a cura del Dipartimento archi e corde del Conservatorio cittadino, gli ricordo che, proprio oggi, il Nicolini riapre i battenti. Gradualmente, è vero, ma con speranza e attesa per un futuro di normalità. «È inutile pensare sempre al peggio, sarebbe assurdo, soprattutto ora, che la nostra categoria è tra quelle che devono rialzarsi con maggiore forza, energia, ottimismo», ammette Di Tonno.
Intanto, venerdì prossimo inizia la nuova rassegna virtuale “Incontri in musica”, che ospiterà quattro stelle internazionali della musica: Simonide Braconi, Antonio Rugolo, Fabio Biondi e Enrico Dindo. Il maestro Di Tonno, a sua volta concertista di fama, è docente di violoncello al Nicolini e si fa portavoce per illustrare l’iniziativa. «È nata sull’onda del bellissimo progetto delmaestro Davide Cabassi e di alcuni colleghi pianisti che insegnano al Nicolini», precisa il maestro.
Partitura di Charme
Intervista a Francesca Dego Socio Onorario del "Gravedona Chmaber Music Festival"
Francesco Cilea Chamber Music
The cello sonata is an early work (the composer was 22) and the highlight is the lovely second movement, a romanza marked Largo doloroso , and played here with great tenderness and sensitivity by Tonno and Codispotti. The piano trio is perhaps the most mature of the three works here in terms of its construction, but it too has the breath of fresh inspiration about it.
“F. Cilea” Cello Sonata
Opening the program is the Cello Sonata in D, played beautifully by Italian cellist Jacopo Di Tonno, with a luscious, honeyed tone that extends from top to bottom of his instrument's range. The piece has a distinctively beautiful central movement titled doloroso - somber and plaintive, it's exquisitely evocative.